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cicche per terra e motti di spirito con dialetto a gogò
 
 

 
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Passeggiata notturna sulla Schiara
di Mario Berto
 
(dicembre 2004)
   

 

"Tosi, appuntamento domàn de sera a le oto, a casa de Mario B.!
El vice-capo ga dito, che stanote se va dormire su la Schiara. Puntuali me racomando! Chi ghe xe, ghe xe! Chi no ghe xe, resta casa! Là de sora, xe sempre verto, ghe sarà on poca de frescura e, in bivaco, pi de nove no se ghe sta! Dixe el Vicecapo! Perciò, tanti maioni, jaca a vento e saco a peo!"
Il tam-tam, aveva cominciato a trasmettere dalla casa del Capo Mario S., (ste bee idee, xe sempre sue); era arrivato a casa del geometra Lorenzo B., dell'architetto Renzo C., dell'esperto in sentieri di montagna Lorenzo M., a casa del cuoco/assicuratore Stefano M., a casa de Piero B. e de Remigio C., tuti do co na supa de montagna che no ve digo. Anca a casa del Pomarin e de Beniamino el xe rivà, ma sti qua, furbi, no 'vendo el corajo de dire subito "no ghemo voja de monade", hanno cominciato col mettere i puntini sulle i:
"Ma sio sicuri che ghe xe posto par dormire? E, no fa miga massa fredo là in alto? No, parchè se me toca dormire fora, la Isabella…, parchè el gato…, parchè eà gaìna…, parchè el can…. " e, se non mettevo giù il telefono, Modesto B., el pomarìn, mi avrebbe riempito di scuse anche lo zaino.
L'altro, Beniamino, per la moglie - santa donna - “Giovanni”, il perché di questo Giovanni non lo so, forse, reminiscenza di qualche spasimante; ma, vi prego, non andateglielo a dire… non si ricorda più niente…, ga da essare capità in te na vita passà.
Dicevo Beniamino, anche lui amante delle comodità e soprattutto di un buon letto alla sera, comincia col lamentarsi della gamba…., della spalla….., dell'alluce del piede sinistro…., di quello destro…, e che se prende freddo, la testa…- Insomma, anche a questo ho chiuso il telefono in faccia, altrimenti mi avrebbe fatto una lezione di anatomia che neanche all'università se ne riscontrano di uguali.
Eccoli! Alle 20.00, tutti puntuali. Otto coraggiosi su tre macchine, già pieni di freddo, e via, verso Padova, Mestre, tangenziale, A27, Belluno. “Attenzione! Prendere per case “Bortot” e seguire la mulattiera lungo il torrente…, fin che questa finisce.”
L’indicazione, via cellulare viene passata a tutta la comitiva. Ancora dieci minuti e si arriva a un piccolo parcheggio. Sono le 21.30.- Il gruppo smonta dalle auto, c'è chi fa dei grossi sbadigli, chi si stiracchia, chi comincia il rito della vestizione. Mezzo nudo, Lorenso, queo pi beo, batte i denti, apre lo zaino, accende la torcia elettrica e sparpaglia tutto per terra. Comincia: calzettoni, mutandoni, due maglioni, berretto-passamontagna… Pensa:
"Me manca calcossa?" si guarda ed esclama:
"Ah eco! E scarpe dove zee? Orpo, anca e braghe!
Tosi a momenti vegnevo via in mudande!" non sarebbe stata la prima volta! Il freddo alle gambe gli aveva risvegliato la memoria. Lorenzo M. però, xe tipo da tegner da conto, conosce bene tutti sentieri di montagna e, state tranquilli, se vi affidate a lui da qualche parte vi porta. Non si sa, dove, perché proprio non lo sa neanche lui, sicuramente da qualche parte.
In cielo, verso est, fa capolino nella valle una luna tonda, enorme, quasi rossa. Proprio quello che ci vuole: una bella luna, che ci rischiari le ore di marcia. In cielo, neanche una nuvola ma, l'aria è fresca, per non dire fredda e se non si vuole morire assiderati, meglio mettersi in marcia subito.
"Tosi, xe le diese! Par rivare al rifujo ghe vol tre ore e meza, o quatro. Vale a dire che, pae do de domatina, semo al bivaco, e speremo che no ghe sia nissun, se no calchedùn dormirà su eà neve!"
"Cossa anca eà neve? Ma quando mai ga nevegà!"
Alla luce di qualche torcia elettrica, imbocchiamo il sentiero, in fila indiana, sotto il peso degli zaini, dove abbiamo tutto l'occorrente per una spedizione imalaiana. C'è anche una pentola in smalto rosso e tutto il necessario per una pastasciutta in grande stile. E, visto che nessuno la vuole portare, se ne incarica il Vice-capo Mario B.. Del resto, si va sulla Schiara, mica su una montagna qualsiasi. Lì, può essere che la neve ci sia davvero e, se niente-niente qualcuno ci ha preceduto, sicuro che ci toccherà dormire fuori. E allora, un bel fuoco…, una pastasciutta sotto la luna, sono cose più che salutari per non morire di freddo e far mattina!
Si chiacchiera, ci si scambia battute e qualche presa per il culo. La luna dall'alto ci tiene tutti sotto controllo. Gli alberi spogli ed il tramestio delle foglie secche sotto i nostri passi, che ci accompagna, ci danno l'idea di essere inseguiti da un esercito di fantasmi.
Prima in leggera salita, poi giù verso il torrente… La discesa non finisce più. Qualcuno dice che stiamo andando al mare, non in montagna e, già pensa alla fatica che dovrà fare per riguadagnare quota. Dopo un'ora, si arriva ad un ponticello sul torrente, trasbordiamo sull'altra sponda e finalmente, il sentiero comincia a salire. Ora la luna rischiara bene tutt'intorno; le torce non servono più. Ci inerpichiamo per un costone sassoso. Passiamo per cenge sospese nel vuoto. Se qualcuno malauguratamente inciampasse, addio! Un volo di cento e più metri e diventerebbe angelo del paradiso.
Poi, un po’ più avanti, ci infiliamo d'improvviso nel buio, nell'ombra di una grande parete di roccia. Accendiamo di nuovo le torce e procediamo con attenzione, ma sicuri. Usciti dall'ombra, ecco pronta, di nuovo la luna a rischiararci il sentiero. Si suda da matti…. Ci fermiamo, e qualcuno comincia a togliersi la felpa o il maglione. Qualche sorsata di thè, di acqua, o altra bevanda e di nuovo in cammino. La fatica, sempre in agguato, comincia a farsi sentire. Qualcuno comincia a non tenere più il passo dei primi. Qualche primo passa secondo…, passa terzo…, ultimo. Non ce la fa più! Si attarda, forse, si ferma. I più allenati continuano imperterriti… Si fa sentire la voce baritonale del capo:
"Tosi, pianèto, che ghemo perso Remijo!" Allora Piero, armato di genuina solidarietà alpina. Mette giù lo zaino e corre in soccorso dell'amico in difficoltà, mentre gli altri procedono a passo più che rallentato. Fora che tre: Stefano M.., Lorenso M. e Mario B., lori, i vol far vedare che i xe i mejo, i pi forti.
Il sentiero è maledettamente lungo, pare non debba mai finire. Si arriva ad un bivio. Ci sono delle indicazioni. Toh, anche una specie di bacheca in legno con una cartina topografica. La guardiamo bene e, fatto il punto, scopriamo che il sentiero che dobbiamo prendere si chiama "Calvario". E ti pareva! Per nulla scoraggiati da quella parola che solo a leggerla e a pronunciarla ti fa star male, prendiamo, su, su, piano, per la spalla della montagna, con una luna dalla faccia sogghignante che quasi ti prende in giro. Dopo mezz'ora di relativo silenzio e calma, qualcuno comincia ad imprecare, a maledire l'idea della sgambata notturna. Qualche altro grida a gran voce:
"Teresa! Teresa, dove sito? Parchè no te me ghe dito de stare casa!" e c'è chi si ferma perché non ne può più e chiede di prendere fiato. Per la miseria, anche l'età vuol dire! Ci si crede, ci si crede, ma poi, se si tiene conto degli anni, anche un sentiero di montagna può diventare Calvario! E mica l'hanno messo a caso quel nome!
Son passate appena due ore, secondo i calcoli dovremmo essere a metà strada. Il sentiero non smette di salire. Proporzionalmente aumentano le maledizioni e gli improperi contro chi ha avuto l'idea, e contro chi ha scelto il posto: contro il Capo e il Vice-capo. Questi se ne stanno zitti, ed è bene così, anche perché avevano fatto credere agli amici, come al solito, che tutto si sarebbe svolto in leggera salita, e che il sentiero sarebbe stato quasi "prativo".
Mario B., non potendone più di tutte quelle lagne, se ne esce con un:
"Su, forsa tosi! V'eò gavevo dito ch'eà strada jera in piano. Tuta in piano! Che cambia xe solamente l'inclinassiòn…." Viene subito zittito e sommerso di vituperi e, troppo tardi ormai, cominciano ad uscire tutte le proposte alternative che, prima di partire, ognuno s'era tenuto per sé. E tutte in quel momento, migliori di quella scelta. Loro, gli amici ne erano arci che sicuri. Ma, scelta da chi? Come no? Democraticamente dal solito duo: Capo e Vice-capo! Sono trascorse circa tre ore. Intanto Mario S. non vedendo più Remigio e, pensandolo in difficoltà, era tornato indietro a cercarlo. Mentre invece, Stefano M., Mario B. e Lorenzo M. Hanno già guadagnato la morena dell'anfiteatro glaciale, sotto i bastioni rocciosi della Schiara. Cominciano a calpestare un po’ di neve, qualche chiazza ghiacciata, rimasugli di una recente nevicata. Il rifugio Settimo Alpini non dev'essere lontano e, là nei pressi, ci dovrebbe essere anche il bivacco invernale.
Venti minuti ancora ed ecco il rifugio. Si staglia nella notte, ben illuminato dalla luna. Lorenzo, Stefano e Mario lo raggiungono e danno di voce ai ritardatari. Ecco, ne arrivano tre, poco dopo, tirando sospiri di sollievo arrivano gli ultimi due. Ci siamo tutti, anche Remigio che ha desistito dal tornare indietro. Era proprio deciso, vista la fatica e causa il poco allenamento; le gambe non lo reggevano più e se, prima Piero B., e successivamente Mario S., non gli fossero corsi incontro a dargli una mano, la pastasciutta ce la saremmo sognata. Sì, perché parte dell'occorrente era nello zaino del buon Remigio.
E via, subito dentro al bivacco. Che fortuna, non ci sono ospiti, sarà tutto per noi! Ci si accaparra il posto migliore ma, accordandoci su chi russa: quelli andranno a dormire su, sul tavolato, fatta eccezione per Remigio chè, lo sforzo di salire la scaletta, lo stroncherebbe. Intanto fuori, Stefano M. e Lorenzo M. che erano arrivati per primi, accendono un bel fuoco. Manca l'acqua. C'è la neve però.
"Eà xe tuta onta!" fa Stefano M.
"Mejo" fa Lorenzo M. "tanto xe scuro!"
"Sì, te teà magni ti dopo" dixe Mario B., "onta e infumegà… Ma seto che paltan che vien fora co sta neve qua?"
"No capì gnente tosi! l'acqua de sta neve ghe darà gusto" dixe el Stefano M.
"E mi cossa goi dito?" fa Lorenzo M., "qua in alto, il gusto ci guadagna e el consièro se risparmia! E po, se l'acqua xe proprio fissa, mi ghe pisso dentro!" Mario si mette a ridere, si gira, guarda la luna, …ride anche quella. Sta ridendo di noi scimuniti che abbiamo fatto tanta fatica per niente, o meglio per qualcosa che deve a che fare con una pastasciutta e una dormita in bivacco.
"Dai Mario, ti che te se, va tore l'acqua, se no qua no se magna!" Si guarda in giro, si decide: prende la pentola smaltata che s'era portata nello zaino e via alla ricerca dell'acqua. Di solito vicino a un rifugio c'è sempre una sorgente. Cerca, cerca, non si vedono ruscelli o sorgenti in giro, né si sente rumore d'acqua. Si ricorda di aver visto poco prima, durante la salita, un serbatoio, stava più giù, a una decina di minuti dal rifugio. Corre giù per il sentiero con la pentola in mano. Dopo un quarto d'ora eccolo di ritorno. Si lamenta che ha la schiena a pezzi e non ce la fa più, causa il peso della pentola piena d'acqua. Certo, la posizione curva, ovvio, per non bagnarsi, e con un peso di dieci chili nelle mani, non è certo salutare fare un sentiero in salita. "Che casso de stagnà gheto portà via? Eà xè sbusa!"
"Sbuso te sarè ti, ostrega! Eà xe eà pignàta pi cara a la Teresa…, on ricordo de matrimonio!"
"Ti, el to ricordo! Qua no se fa proprio gnente, eà perde a spissaroeo… Vardè tosi, traverso el buso se vede anca el fogo de soto!" e giù risate, e giù frecciatine all'indirizzo di Mario B. e della signora Teresa.
"Eà Teresa magari eà gavèa butà ia, e ti te si 'ndà a rancuràrla! Dai, dixi che no xe vero!"
Mario si mette a guardare la pentola e non sa più che rispondere. Casso eà stagnà jera sbusa par daèro!
Facciamo fuoco ugualmente, anzi, qualcuno ci incita:
"Ghe vol pì fiama, pi fogo! Ghemo da far bòjare l'acqua in freta!"
"Butèmoghe subito el sale! Chissà, servirà a fermare el spissaroeo!" Funziona. Perde molto meno… Pare che non esca più acqua dal buco, anzi il buco non si vede più. Miracoli dell'intuizione, non del capire (tutta una teoria diversa quella).
L'acqua in men che non si dica comincia a bollire.
"Butta la pastaaaaaaaaaa!" pare un grido di battaglia, sì perché sono tutti lì attorno al fuoco, a guardare divertiti, a tifare per la pastasciutta.
"Mario, la pasta! Sbrigatiiiiiii!" e giù, due scatole, un chilo, di tortiglioni. Si mescola con il primo bastone che capita per mano, tanto l'acqua bollente disinfetta!
Passano dieci minuti e
"E' cotta?" domanda, uno degli spettatori. Si avvicina il solito Lorenzo M., con un rametto a forma di forchetta.
"Sì è cotta, cottissima!". Stefano M. non si fida, guarda l'orologio e sentenzia:
"Ancora cinque minuti!"
Poco dopo, si scola alla meno peggio, in un asciugamano, si ributta la pasta in pentola e giù: olio, peperoncino, tonno, qualche acciuga, pezzetti di formaggio. Si mischia il tutto e l'impasto è bell'e pronto. Si scodella e, dopo pochi istanti, tutti si arrangiano a mangiare: chi con un pezzo di legno, chi con le mani, chi con il coltellino, ma, si mangia per davvero! C'è anche chi fa il bis. Si beve del buon vino di pianura, si canta e, barzellette a tutto spiano, da far ridere anche la montagna sopra di noi. No, mi sono sbagliato, è l'eco che risponde alle nostre risate.
Poi, presi dalla stanchezza e dal freddo, via, tutti dentro al bivacco. Remigio sta già russando della grossa. Ci infiliamo dentro i sacchi a pelo e, tu credi di dormire, invece continuano le barzellette: sempre più grasse, sempre più spinte. …Chi ride, chi scorreggia, chi si lamenta per i crampi, chi per il fetore dei piedi del vicino che, a bella posta, gli ha messo i calzettoni pieni di sudore sotto il naso. Ad un certo punto un urlo secco:
"Ahia! Maledetta! Me so pissegà…, ciavà i cojoni co la cerniera del saco a peo!" Pronto Piero B. gli fa eco:
"Desso, te tocarà cantare in falseto!" ma, qualche altro già russa e fa compagnia a Remigio, è Renzo, l'architetto. Per forza, è l'unico che s'è premunito di tappi per le orecchie! Ancora qualche minuto e si sentirà, ad intervalli regolari, il respiro gonfio di chi dorme ed il rumore sordo di chi russa.
Fuori, sta l'incantato silenzio della montagna. La schiara si staglia cupa, maestosa e selvaggia sopra di noi. Più su, un cielo pieno di stelle, di tanto in tanto, solcato dal passaggio di qualche aereo. Fa freddo e, nel gelo, una luna meravigliosa, divertita della nostra fatica, sta vegliando su di noi, beandosi dei nostri sogni.



Mario Berto
 
 

 

 

   
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