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cicche per terra e motti di spirito con dialetto a gogò
 
 

 
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Il Pozzo di Piero
di Mario Berto
 
(Parte Seconda)
   

 

“Vardè! Ma vardè le montagne dove jera me popà…Vardè, ma vardè la valle dove jera la contrà” così recita la canzone di Bepi de Marzi”, che a sentirla ti rapisce e ti porta dritto-dritto sulle cime delle Dolomiti o nelle valli del Cadore…E lui invece, Piero, a dirci: “Tosi, vardè! Ma vardè che capolavoro che me so fatto!” orgoglioso della sua opera, sta lì ad ammirare il suo bel pozzo bianco, ancora fresco di vernice, con l’arco in ferro, con il canonico secchio, carrucola e catena perfettamente funzionanti. C’è anche l’acqua! …Eh, mica tutti i pozzi hanno l’acqua al giorno d’oggi!
Lo guarda, lo osserva, se lo mangia con gli occhi. Compiaciuto. …Con una voce dolce, quasi melliflua, a volerti significare che accetta solo esclamazioni di stupore e parole di compiacimento, ti dice: “Mario, no me par vero, lo go finìo!” e resta là ammirato e soddisfatto di quell’opera d’arte, perché, credetemi, di arte si tratta! Poi si gira e ti osserva aspettando la risposta di approvazione, naturalmente! Ma tu, che già conosci Piero, che già sei capace di intuirgli i pensieri, e te lo vuoi cucinare a fuoco lento, aspetti un po’ prima di rispondere. Ti metti anche tu, a guardare con occhi di meraviglia il “monumento”, il pozzo di Piero. Con le mani fai il gesto del regista che coglie l’inquadratura della scena madre del suo film e poi, ti fai uscire la solita… ma quale solita! …Una bella, forte, spontanea esclamazione di meraviglia: “Proprio bèo, Piero! Bèo davvero! Brào! No savarìa come definirte. …Ti, nèe robe te ghe jàta, te ghe sé fare, …te ghe metti proprio l’anema! Rivo a pensare che, se Monsignor Doni te dixesse di progettare na cesa nova par Conselve, te ghe farissi concorensa a Michelangelo o al Brunelleschi, …robe che podarìssimo catàrse do cupoloni, …do Sanpièro: uno a Roma e uno a Conselve!”
Finalmente! Il pozzo di Piero è terminato! …Ci ha messo sopra la sua bella “vera” o corona, sulla quale ha fissato l’arco in ferro, di sua progettazione e lavorazione, a sostegno della carrucola. Adesso Piero e là, seduto davanti al suo pozzo: lo ammira, medita, pensa, ricorda, maledice, ringrazia e sospira: “No ghe credo!” Solo due settimana fa, si trovava sprofondato tre metri sotto terra, dentro un tombino largo un metro, in compagnia di una pompa cinese che aspirava l’acqua che affluiva incessante dalla falda e, mica che volesse fare il fachiro, la pompa allora se la sarebbe presa indiana, macchè! Testardo, voleva finire il suo pozzo! ….E così si è messo a scavare, a scavare, e scavare ancora, per far scendere quei maledetti quattro tubi, che io maliziosamente gli avevo suggerito. Noi, io e Beniamino, sopra, alle prese con l’appoggio morale, - cose da vergognarsi - a malignare e a dire che mancava poco che ce lo trovassimo sotto il pavimento di casa. Oppure, - e questo era Beniamino, bisogna guardarsi da lui, si fa sempre più maligno - “Mario sta tento ch’el ne vien a robare l’acqua nel nostro posso! …Varda se l’acqua cala! …Che, se la cala, ghe femo causa!”
"Ma no!" ghe rispondevo mi, Piero xe drio fare e prove de come se sta soto tera! Ansi go da dirte, da come se sta metendo e robe, ch’el ghe ga ciapà gusto!...e se questo capita da vivo, chissà da morto!” …E po’ che male ghe sarìa se’l trovasse finalmente na spiegassiòn a la scarsità de produssiòn del so orto? Secondo mi, l’amigo Piero ga intuìo che da la lege dei vasi comunicanti se po’l estrinsecare qualche corollario, come: “ogni posso ga l’acqua che se merita, in proporsiòn a profondità e larghessa, ovvio no?!”. Oppure: l’inquinamento de l’aqua de on posso, xe inversamente proporsiònae al numero dei can de Mario Berto e, diretamente, al numero dei gati de Beniamino Benetazzo, e che, quantità e qualità de pomodori prodotta dall’orto no c’entra co l’aqua del posso, che tanto, par ste robe, se farà sempre uso dell’aquedoto”…Forse go fato on poca de confusiòn.
Poco dopo, ti vedi materializzare dal buco del terreno qualcosa che assomiglia a un mostro, una larva umana, un cavernicolo: Piero inzaccherato di fango da cima a fondo, che neanche i minatori di Marcinelle dopo lo scoppio in galleria erano così malconci, esce dal pozzo irriconoscibile. Lo guardiamo stupiti. …anche lui ci guarda stupito: tutti gli astanti sono stupiti! …Meno male, sorride! …davvero, ha ancora la forza di sorridere! Intanto Marta, la mia nipotina, abbandonata dallo stupore, emette un urlo e scappa via spaventata. Corre in braccio alla nonna gridando al babau: “Ho paura! Ho paura!”, schoccata! Ci toccherà portarla dallo psicologo. …Si capisce che quel figuro è Piero solo dalla voce: “Eh tosi, cossa disìo? Ve pare ch’el vaga zo?” La risposta si fa attendere. Piero allora riformula la domanda in modo tale che la risposta possa essere solo incoraggiante, cioè affermativa: “Vero ch’el xe ‘ndà zo?!” …“Bhè, insomma, on pochetìn Piero”, risponde Beniamino, “ma proprio poco, séto!” …Io resto muto a guardare. Lo scruto in viso. Provo compassione… “Ti invesse, te ne pari cascà tanto in basso, Piero!” ghe fasso mi. Lu el me varda e el me risponde:
“Fàssoi proprio compassiòn! Dìsito che se qualcun me vede, me fassa eà carità?”
“Bhè, se no’l scampa prima par lo spavento, almanco, digo mi, te dovarissi farghe pecà, ma pecà assè!” Lo guarda anche la Milieta, sua moglie, vien da ridere anche a lei e, siccome è una giornata di gennaio di quelle piene di nebbia e fa freddo, subito gli butta un maglione sulle spalle per salvarlo da qualche malanno. Se lo tiene caro la mogliettina, in fondo Piero no xe cativo, la pensiòn el ghe la da tuta a fine mese” e una donna, cosa si può aspettare di più da un marito pensionato?
…Sarebbe bastata solo un po’ di cosciensa e che avesse seguito i suggerimenti dei vicini che gli dicevano di aspettare la Primavera, così, invece di far faticare la generosa Milieta, avrebbe trovato due volonterosi che, nei bei giorni di sole, gli avrebbero dato, non solo l’appoggio morale, ma tutto l’aiuto materiale di cui aveva bisogno. A lui però non è piaciuto aspettare e si è messo di buzzo buono, così il pozzo se l’è scavato tutto da solo, o meglio, in famiglia! Roba da matti! …Anche perché, in una situazione simile, è difficile andare a scovare un po’ di appoggio morale dai cari vicini! Anzi, quelli sarebbero stati capaci di dirgli: “Ma Piero, te si proprio da ligàre!”
Ecco, il nostro Piero è andato avanti per tutto l’inverno, - tanti giorni faceva come queo che no fa gnente deà ditta Fa & Dèsfa srl. - …Se non pioveva, ogni sabato veniva a Conselve – ah già, anche il mercoledì, – si tuffava dentro il buco-nero che gli divorava speranze e desideri alla velocità della luce.
Naturalmente, la mogliettina fuori, con la carrucola in mano. E via! Su e giù secchi di sabbia, di terra, di torba, di fango. La pompa cinese aspiratutto immersa nella melma e con i piedi a bagno maria, Piero si dava da fare a scavare come un forsennato – chissà se è cresciuto. Di solito l’insalata cresce con l’acqua.

…Il giardino era diventato tutto
mucchi di terra intorno,
come foglie morte sparsi,
a testimoniar quanto la fede
o un’idea fissa,
smuovere possa,
insieme alla possente montagna,
l’infima, nera, umida zolla
del misterioso sottosuolo!

Dopo aver fatte per bene le sue cose, anche se fuori c’era il ghiaccio, lui si metteva vicino al pozzo a meditare e, se lo si osservava bene, si poteva intuire quali fossero le sue speranze, i suoi desideri, le sue imprecazioni: - apparivano a mezz’aria, a forma di nuvoletta, scritti nella nebbia, un po’ più bianchi per la brina - “Porca miseria, quando xe che finirò sta roba! …Come xe che podarìa fare par scavarlo più in freta! …Che idea me galo da Mario, …e mi mona, a darghe reta! ...Ghe fasso vèdare mi, te vedarè che bestia de posso ca me fasso!” si leggevano, a mezz’aria ve l’assicuro, un po’ più bianchi, ma solo nelle giornate di nebbia però. Poi, cominciava a girare intorno al cratere. Sì, perché intanto la terra attigua ai tubi del pozzo era franata e tutt’intorno s’erano formate vere e proprie voragini.
Lo guardava con aria di sfida. Qualche parola alla mogliettina che a sua volta teneva sott’occhio Piero, …non si sa mai, alle volte i gesti inconsulti possono scaturire anche dalle brave persone. Bhè, ma più inconsulto di quel pozzo! Allora io, che intanto avevo osservato tutto da dietro la tenda, dall’alto della mia camera, - a costo di prendermi una polmonite, - aprivo la finestra e gli gridavo: “Dai Piero, spetta el bel tempo che te juto, te vedarè, in do dì lo finèmo sto posso de la malòra!” Subito si voltava e con il solito sorriso da luna piena, mi rispondeva:
“Ciao Mario! Come che ti va?” (…orpo, on conselvan che me parla in venessian!)
“Ti pitòsto, come che ti sta?”
“Ah, cossa vuto, vorìa che sto posso fusse finìo!”
“Ma ‘ndemo dai che in Primavera te lo finissi! Te juto anca mi, varda! …e po’, vien anche Beniamino a jutàrte!” ma lui, men che rassegnato, continuava a fare il peripatetico intorno al pozzo, e, come a quei certi filosofi, che girando intorno all’albero, venivano le idee, così era logico che venisse quella buona anche a lui, dicevo, l’ispirazione giusta. Mahhhhhhhhh!
Appena il tempo di vestirmi, di far colazione e di andarmi a prendere il giornale che, nel giardino di Piero, il cantiere era bell’e funzionante: sommergibile cinese aspirante sul fondo, impalcatura da imbianchino attraverso il pozzo, una carrucola e una corda, due secchi che giravano su e giù pieni di melma, Piero dentro il pozzo a riempire i secchi e, La Milietta povera donna, sull’orlo del cratere a prendere e svuotare i secchi. Poveracci tutti e due! Che pena mi facevano! …Quello che non potevo sopportare era vedere la Milieta faticare peggio che una schiava: svuotare tutti quei secchi di sabbia e fango non era certo lavoro da donna! …Ma Piero, - che le conossa lu le femene? - era là, non si vedeva, ma si intuiva in fondo al pozzo, con un mezzo badile a scavare, scavare e riempire. Trafficava poi con la corda della carrucola ed ecco il secchio apparire in superficie sull’orlo dell’abisso grondante fango. La Milieta lo prendeva, attaccava al gancio l’altro secchio vuoto e lo rispediva giù al marito, poi, con difficoltà, trascinava il secchio pieno di fango poco lontano e lo svuotava. Intanto, sentivo Piero bofonchiare, trabatàre e dire qualche parola alla sua donna dal fondo del pozzo: ad osservarli, si sarebbe detto, due condannati ai lavori forzati.
Oggi, 13 maggio 2006, la pena è finita! Chissà, una grazia della Madonna di Fatima, quella posta l’altro giorno nella piccola edicola costruita in giardino da suo fratello Giuseppe!
Stavolta non è uno scherzo! Un’apparizione!…Un magnifico, grande, pozzo bianco fa la sua bella figura in mezzo al prato. S’è materializzato…, ma che dico?! Una realizzazione della eclettica ingegnosità di Piero. Lui, giustamente, ha voluto immortalarlo con qualche foto. Poi, ci abbiamo bevuto su un bel bicchiere di birra, e di quella tipo riserva, pure: il pozzo lo meritava! Scherzando ho provato a suggerirgli qualche altra idea, e la risposta non si fece attendere: “Ero ciò, ma par chi me gheto ciapà? Te go da reta na volta, ma go giurà che sarìa sta anca l’ultima! Vero Milieta?!” Il sorriso, il cenno della testa e lo sguardo di sua moglie mi dicono che dev’essere stata proprio dura, e che soltanto l’ostinazione di un uomo tutto d’un pezzo come Piero, poteva portar a compimento quel portento di pozzo. Dite voi: “Ma, ne è valsa proprio la pena?” Vi rispondo io: “Certo, se non altro per farci qualche risata, io scrivendo e voi leggendo la vera storia del “Pozzo di Piero”.

N.B. Non ho messo la parola Fine al racconto,perché il “Pozzo di Piero” non è solo un racconto, è stato un’epopea e, come tale, non si può ridurre a così poco. Il periodo, l’azione svolta, gli stessi protagonisti sono così carichi di tensione emotiva, così pieni di particolari picareschi da suggerire tanti gustosi aneddoti, sui quali, a meno che non si voglia perdere la parte migliore della storia, non è possibile soprassedere. Per questo è mia intenzione proporvi una terza parte, …già in preparazione.


Mario Berto




 
 

 

 

   
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